GLOSSARIO NARRATO
Fasi di preparazione di supporti, sostanze scriventi, coloranti e strumenti
Pergamena
Carta
Inchiostri e penne
Colori
Oro
La pergamena è un supporto scrittorio di origine animale utilizzato sporadicamente sin dall’antichità, poi in maniera pressocché esclusiva a partire dal IV sec. d.C. – quando il libro passa dalla forma rotolo a quella di codice, cioè quella che ancora oggi utilizziamo – sino a tutto il XIV sec., quindi in maniera decrescente solo per particolari funzioni librarie di dedica o liturgiche.
La pergamena viene per lo più prodotta da artigiani specializzati.
Nell’alto Medioevo (secc. VII-XI) il processo può avvenire anche all’interno degli stessi monasteri produttori di manoscritti, mentre nel basso Medioevo (secc. XII-XV) può svolgersi all’interno di botteghe destinate all’allestimento di libri. In generale i pergamenai ottengono un prodotto migliore nel corso del tempo sia per spessore, sia per colore.
La pergamena è un materiale molto resistente, che ben si adatta alla
struttura libraria dove i fogli organizzati in fascicoli sono cuciti tra loro e alla coperta; permette inoltre di scrivere su entrambe le facce. Tuttavia il processo di produzione è oneroso e legato alla possibilità di allevamento: è perciò assai costosa così che ogni suo scarto viene accuratamente riutilizzato.
Ricette medievali testimoniano che le pelli di capra o pecora (in Europa
settentrionale anche vitello) venivano lavate, immerse in idrossido di calcio per distaccare grasso e peli, raschiate, tese su un telaio; poi venivano liberate da residui sui lati interni o esterni, essiccate e eventualmente riparate da difetti originari o creatisi durante il processo; quindi tagliate alle dimensioni del foglio.
La carta è un supporto scrittorio di origine vegetale che viene introdotto in Occidente tramite gli Arabi che a loro volta lo conobbero grazie ai cinesi dopo la battaglia di Talas (751). In Occidente, essa fa le sue prime sporadiche apparizioni in ambito librario nel XIII secolo, ma diventa competitiva nei confronti della pergamena solo con la fine del XIV.
Macerando e battendo in acqua stracci di tessuto si ricava la polpa di cellulosa poi stesa su telai lignei (forme) ai quali sono fissati, paralleli al lato corto, listelli triangolari (colonnelli) e, paralleli al lato lungo, fili metallici (vergelle) puntati ai colonnelli in linea continua (filoni). La trama di filoni e vergelle lascia sul foglio una impronta visibile in controluce.
La filigrana è un disegno realizzato con fili metallici cucito al centro di una metà della forma; di conseguenza è visibile in controluce nel foglio di carta di origine occidentale. Essa rappresenta un marchio di fabbrica che costituisce – tramite la sua identificazione su specifici repertori – uno degli strumenti di orientamento per la datazione e la localizzazione dei manoscritti.
La carta viene prodotta in stabilimenti presso mulini ad acqua poiché questo elemento è basilare per il processo di fabbricazione. In Italia la più antica cartiera è quella di Fabriano (1264) e da lì la produzione e il commercio della carta si irraggia in numerosi centri centro-settentrionali, quali Genova o Brescia.
La carta offre il grande vantaggio di un prezzo notevolmente inferiore
alla pergamena, assicurato anche dalla produzione capillare sul territorio secondo procedure pre-industriali. Inoltre, è possibile gestire l’uniformità della dimensione dei fogli, dello spessore e del colore. Tuttavia essa è meno resistente e, proprio perché meno costosa, incide sulla percezione della qualità dell’oggetto-libro finito.
Fonti bassomedievali attestano diverse procedure per la realizzazione dell’inchiostro nero da scrittura, anche se in modo riguardo al dosaggio. In generale essi sono essenzialmente di due tipi:
- al carbone (nerofumo, acqua e un agente addensante quale colla di pesce)
- metallo-gallici (tannino estratto dalla noce di galla miscelata con un solfato di ferro o rame).
Lo strumento necessario a contenere e a conservare l’inchiostro è il calamaio (atramentarium), un vasetto di forme e materiali vari, con coperchio o senza, che poteva essere poggiato sul piano di scrittura, infilato in un apposito foro, agganciato al piano stesso come testimoniato da una ricca iconografia. Ne esistevano anche di portatili utilizzati da scrivani e notai itineranti.
Nell’antichità greco-romana lo strumento scrittorio destinato ai supporti flessibili (papiro, pergamena) è il calamo, una cannuccia vegetale cava affilata e fessurata per permettere l’uscita dell’inchiostro. Esso, in Occidente, già nella tarda antichità venne sostituito dalla penna di volatile, principalmente oca, che permetteva con la sua maggiore flessibilità di gestire lo spessore del tratto.
L’abbondante iconografia dello scriba – monaco o, più tardi, laico - presente nelle miniature medievali nonché nelle fonti secondarie letterarie, ci tramandano una serie di utensili, non tutti riconoscibili. Tra quelli di più facile lettura si ricordano il coltello polifunzionale e multiforme (temperatura della penna, rasura degli errori di copia, bloccaggio dei fogli sul piano), il compasso, righe e squadre.
I pigmenti utilizzati per la miniatura erano di origine principalmente minerale:
- lapislazzulo e azzurrite, assai meno
preziosa, per il blu;
- malachite per il verde;
- cinabro e il minio (da cui il termine
‘miniatura’) per il rosso;
- orpimento per il giallo.
Mentre un pigmento di origine animale è la porpora, ricata da un mollusco.
I pigmenti venivano triturati con un pestello così da ottenere una polvere alla quale era poi aggiunto un legante (albume d’uovo, gomma arabica, colla di ritagli di pergamena).
Il colore era dato a penna o pennello, infine la miniatura era rifinita con allume di potassio, sempre a pennello, per una maggiore lucentezza.
Il valore simbolico e culturale dei colori è fondamentale per la comprensione della miniatura, così come la loro materialità: entrambi i fattori incidono sulle modalità di ricezione e sul prezzo dell’oggetto-libro finito.
Consideriamo l’uso del blu: simbolo di una preferenza culturale occidentale a partire dal XII secolo, ma anche pigmento raro e molto costoso che impreziosisce la decorazione.
Sul procedimento di applicazione dell’oro in foglia conserviamo
numerosi ricettari privi però delle proporzioni degli ingredienti. L’oro, metallo duttile, è facilmente riducibile in lamine se battuto tra due membrane; occorre inoltre un collante per far aderire la lamina sulla pergamena, come gesso, bolo d’Armenia, chiara d’uovo o colla ricavata da pelli animali o pesce.
Il procedimento di applicazione a pennello dell’oro in polvere ha
bisogno di un legante che lo faccia aderire alla superfice pergamenacea o cartacea, quale acqua gommata o uovo.
L’oro nel Medioevo è colore in quanto lucentezza, attributo che si lega al sacro già da tempi remoti: la gloria di Dio è dorata, così come le aureole. La presenza dell’oro, come nel caso del blu, è però anche segno materiale di preziosità del libro, sia in quanto oggetto sacralizzato (es. i Vangeli), sia come oggetto merceologico.