DE BALNEIS PUTEOLANIS
Ms. 1474
Biblioteca Angelica
Datazione: 1258-1266
Autore: Pietro da Eboli
Misure carte: 184×130 mm.
Genere: Poema
Miniature: Presenti.
Il De Balneis Puteolanis è un poema in latino composto intorno alla metà del XIII secolo che celebra le proprietà terapeutiche dei Bagni di Pozzuoli e Baia, ormai in rovina. L’autore è Pietro da Eboli, poeta attivo presso la corte normanna e poi sveva che, secondo la tradizione, lo dedicò all’imperatore Federico II di Svevia. L’originale andò presto perduto ma l’opera godette di una notevole fortuna e numerose copie furono realizzate nel corso del tempo. Questa della Biblioteca Angelica è la più antica che si conosca, commissionata forse dal figlio di Federico II, Manfredi, per onorare suo padre. Ed è anche la più preziosa per via delle sue miniature, piene di storie e di oro. Sono l’opera di una bottega napoletana della metà del 1200.
- Storia e contesto
- Struttura e scrittura
- Iconografia & Iconologia
- Materiali e Tecniche esecutive
- Censure e modifiche
- Conservazione e restauro
- Bibliografia
Il manoscritto 1474 della Biblioteca Angelica è il più antico testimone del De Balneis Puteolanis, un poema composto da Pietro da Eboli che descrive i Bagni di Pozzuoli e di Baia e ne celebra le proprietà terapeutiche. La notorietà delle Terme dei Campi Flegrei, ormai in rovina e dimenticate, come denuncia con rimpianto il poeta, è largamente attestata fin dall’antichità.
La datazione dell’opera di Pietro da Eboli è controversa. Secondo l’opinione quasi unanime della critica, l’opera sarebbe stata composta tra il 1211 e il 1221 e dedicata a Federico II, benché anche in studi assai recenti sia stata riproposta la sua retrodatazione agli anni 1194/5-1197, e ne sia stata ipotizzata la dedicazione al padre di Federico II, Enrico VI.
Queste diverse ipotesi circa la datazione dell’opera e l’identità del suo destinatario nascono in primo luogo dalla controversa identificazione dei personaggi storici celebrati nel componimento di dedica, che nell’esemplare della Biblioteca Angelica leggiamo a c. 19v.
Il manoscritto originale è andato perso, molte copie sono tuttavia state realizzate nel tempo, vista la sua popolarità. L’esemplare del De Balneis conservato presso la Biblioteca Angelica è la copia più antica che si conosca, e la più preziosa per via delle sue miniature. La datazione non è del tutto certa ma probabilmente è riferibile all’età di Manfredi, figlio di Federico II, che la commissionò per onorare il padre. Sarebbe quindi da attribuire agli anni del suo Regno (1258-1266).
Non mancano tuttavia rare proposte di datazione più tarda, sul finire del XIII secolo, se non addirittura entro i primissimi anni del secolo successivo.
Il De Balneis Puteolanis godette di una notevole fortuna editoriale tra il XIII e il XV secolo, in Italia meridionale e, in particolare, in area campana. L’opera è tràdita da 28 manoscritti, 13 dei quali miniati, da due volgarizzamenti, uno in napoletano e uno in ottosillabi francesi, e da diverse edizioni a stampa, la prima allestita a Napoli nel 1475 da Francesco Griffolini da Arezzo.
L’autore del De Balneis Puteolanis è Pietro da Eboli, letterato e poeta presso la corte normanna, passato al servizio della corte sveva con la salita al trono di Enrico VI, del quale divenne fervido sostenitore. Sulla sua identità non ci sono notizie certe, persistono molti dubbi e zone d’ombra, a partire dal suo status civile.
Pietro da Eboli è raffigurato nella celebre scena di dedica della sua prima opera, il Liber ad honorem Augusti (noto anche come De Rebus siculis carmen o Carmen de motibus Siculis), la cui unica copia a noi pervenuta è custodita a Berna (Burgerbibliothek, codex 120 II, c. 139r). Il poeta, con il capo tonsurato, si inginocchia ai piedi dell’imperatore Enrico VI nel presentargli il libro, alla presenza del cancelliere e legato imperiale Corrado di Querfurt. Ed è sempre lo stesso autore ad affermare, nei versi di dedica del De Balneis Puteolanis, di aver scritto per la corte sveva un’altra opera encomiastica, oltre alle due superstiti, dedicata alle mirabili gesta di Federico (Federico II secondo alcuni studiosi o il padre di Enrico VI, Federico Barbarossa, secondo altri).
Le miniature a piena pagina del De Balneis Puteolanis della Biblioteca Angelica mostrano stringenti affinità linguistiche con gli ornati di un gruppo di manoscritti di lusso ricondotti tradizionalmente ad una bottega laica di artisti attiva a Napoli tra il 1250 e il 1260. Su un sostrato di chiara matrice bizantina, il miniatore innesta inflessioni più aggiornate di derivazione transalpina, già presenti in età federiciana, e suggestioni di gusto classico. Il risultato è una commistione di accenti, una vivida polifonia culturale.
Parte della critica collega la committenza del manoscritto a Manfredi (1232?-1266), figlio illegittimo di Federico II e della piemontese Bianca Lancia d’Agliano, autoproclamatosi re di Sicilia tra il 10 e l’11 agosto del 1258. (vedi risposta 5) Manfredi, ultimo sovrano svevo dell’Italia meridionale, visse fin dall’infanzia a corte e come il padre fu appassionato di scienza, matematica, astrologia, filosofia.
Manfredi diede impulso alla produzione di manoscritti miniati e più in generale all’attività editoriale, alla copia e alla riedizione di opere di carattere scientifico, alle traduzioni di trattati scientifici dal greco, dall’arabo, dall’ebraico. Al suo patrocinio si deve, tra l’altro, la più antica copia del De Arte venandi cum avibus, il celebre trattato federiciano, tràdito dal Vat. Pal. lat. 1071, uno dei più celebri manoscritti miniati di età sveva.
È da escludere il nesso con Manfredi dell’esemplare angelicano del De Balneis Puteolanis, se si accetta l’ipotesi la datazione del manoscritto in età angioina e la si sposta sul finire del XIII secolo.
Con estrema probabilità l’opera fu composta per essere dedicata e donata alla corte Sveva.
Informazioni mancanti
Il codice è uno dei più noti e sontuosi manoscritti illustrati di età sveva prodotto probabilmente per volontà di Manfredi, che fa parte di quel corpus di codici “profani” confezionati come veri e propri ‘libri di figure’ destinati ai sovrani o all’entourage di corte. Si tratta quindi di una straordinaria testimonianza dell’editoria sveva che ha ricevuto grande attenzione dagli studi.
Pressoché nulla si sa della storia del codice fino al 1854, anno in cui fu visto in biblioteca da L. Bethmann. Una nota di possesso vergata a c. 1r (Marij Guidarelli) potrebbe ricordare uno dei proprietari.
Latino
L’originale del De Balneis Puteolanis è composto da una serie di epigrammi il cui numero e il cui ordine originali sono di difficile determinazione, per le continue revisioni, manipolazioni ed evoluzioni dell’opera nel corso del tempo.
L’esemplare della Biblioteca Angelica è composto, allo stato attuale, da 18 epigrammi dedicati ai Bagni ai quali sono da aggiungere il prologo e la dedica. Manomissioni e restauri hanno profondamente mutato il suo aspetto originale; numerose sono le lacune e la disposizione dei fogli risulta alterata per una ricomposizione del tutto arbitraria.
Attualmente le carte sono incollate su brachette di compensazione in pergamena molto chiara.
Tale alterazione ha determinato in alcuni casi un’incongruenza tra testo e immagine, compromettendo la complementarità tra i due registi. Si vedano ad esempio le carte affrontate 9v-10r, dove al componimento dedicato al bagno De Prato è accostata l’immagine del bagno Tripergula .
La rigatura è a secco.
Il testo è stato trascritto da un unico copista che adopera una gotica rotunda, di modulo ampio.
Uno degli elementi a sostegno della datazione del manoscritto agli anni di Manfredi è la firma dello scriba, Johensis, vergata in chiusura dei versi di dedica, a c. 19v, il medesimo copista che sottoscrive due splendide Bibbie miniate, il codice Vat. lat. 36 della Biblioteca Apostolica Vaticana (nota come Bibbia di Manfredi) e il ms. lat. 40 della Bibliothèque Nationale de France. Il lungo colofone del dell’esemplare vaticano riporta, oltre al suo nome, la dedica a Manfredi, ricordato come princeps, circostanza questa che ci consente di collocare il volume tra 1250 (anno in cui fu investito del principato di Taranto) e il 1258 (anno in cui assunse la corona del Regno).
Non necessariamente sequenziale. L’originaria facies del poema, la sua sequenza testuale è assai difficile da determinare per la perdita di alcuni fogli, il riallestimento arbitrario, l’alterazione della struttura originale e per le numerose varianti della tradizione testuale del poema.
Alcuni studiosi ritengono assai probabile che fin dall’origine il testo del De Balneis Puteolanis di Pietro da Eboli fosse corredato da immagini che offrivano un racconto figurato degli epigrammi sulle terme flegree, secondo la tradizione del Bildercodex, benché manchino nel testo espliciti riferimenti alla presenza di illustrazioni, contrariamente a quanto accade nel Liber ad Honorem Augusti dello stesso Pietro da Eboli. In ogni caso è provata l’esistenza di un archetipo, molto probabilmente figurato, già in età federiciana dal quale deriverebbe il manoscritto della Biblioteca Angelica.
Il De Balneis Puteolanis della Biblioteca Angelica è splendidamente miniato; ogni componimento che descrive e celebra le virtù dei bagni, vergato sul verso del foglio è seguito da un’illustrazione a piena pagina, eseguita sul recto di quello successivo, in una stesura affrontata tra versi e immagini. Il racconto figurato non si limita a trasporre in figura il testo ma lo arricchisce di particolari narrativi, realistici e descrittivi, di riferimenti topografici, forse anche grazie alla conoscenza, diretta o mediata da opere letterarie, dei luoghi e dei temi trattati.
L’autore del poema, tràdito dal manoscritto della Biblioteca Angelica, intendeva celebrare le virtù terapeutiche delle acque termali dei Campi Flegrei.
I personaggi principali che possono essere. associati questo manoscritto sono Enrico VI, Federico II, Manfredi, Johensis
Per la scrittura il procedimento canonico che veniva seguito era generalmente il seguente:
- si sceglieva e si preparava il supporto, nel caso del De Balneis la pergamena;
- si costruiva il fascicolo (4, 5 o 6 fogli piegati e infilati uno dentro l’altro);
- si eseguiva la foratura preparatoria;
- si eseguiva la rigatura, a secco o con la mina colorata, secondo uno schema a piena pagina o 2 colonne. Il De Balneis ha uno schema a piena pagina e ha la rigatura a secco;
- si copiava lasciando gli spazi per le iniziali e per le rubriche (ovvero i testi accessori, quali titoli, contenuti, explicit);
- si inserivano le parti in rosso, cioè le rubriche e eventuali tocchi di penna sulle maiuscole (quasi sempre era il copista stesso che fa questa operazione);
- il miniatore eseguiva le iniziali che potevano estendersi anche nei margini;
- le illustrazioni potevano essere inserite negli spazi appositamente riservati dalla scrittura, oppure, se occupavano una intera pagina, questa poteva far parte del fascicolo oppure poteva essere eseguita su foglio singolo che poi veniva inserito all’interno del fascicolo; in questo secondo caso quando si osserva la struttura del fascicolo ci si accorgerà di un foglio sovranumerario privo della sua metà;
- per ultimo si cucivano i fascicoli tra loro e poi alla coperta; questa operazione poteva avvenire anche a distanza di tempo.
Nel caso del De Balneis la struttura originaria è stata alterata come si è detto.
Il procedimento canonico per la realizzazione di una miniatura prescrive che sulla pergamena ben tesa e pulita, venisse stesa la preparazione e realizzato il disegno di base preparatorio.
Per la preparazione della doratura le indagini non hanno evidenziato la presenza dell’argilla d’Armenia, altrimenti detta “bolo”, che invece era molto comune.
Sulla preparazione si applicavano le sottilissime foglie d’oro. Esse venivano quindi levigate con pietra d’agata fino a renderle splendenti.
La doratura poteva essere anche applicata a pennello. Sul De Balneis sono presenti entrambe le tecniche.
Venivano finalmente preparati i colori con cui dipingere i fondi e le figure.
La miniatura veniva quindi lasciata asciugare e infine trasferita a colui che assemblava il fascicolo.
Uno degli aspetti rilevanti è da individuare nel largo impiego dell’oro nelle miniature a piena pagina poste a corredo degli epigrammi, a creare un’edizione di lusso del poema. L’oro appare steso in lamine e in polvere con il pennello.
La struttura del volume è stata profondamente modificata nel corso del tempo e numerose sono le carte andate perdute. L’attuale sequenza fascicolare non rispetta quella originaria, la cui ipotetica ricostruzione è assai difficile.
Il manoscritto appare restaurato nel tempo, come si evince, tra l’altro, dalle brachette di compensazione e dalla presenza di colla animale sulla carta 13. Purtroppo non risulta possibile recuperare la documentazione di restauro.
Il campionamento con tampone sterile è stato effettuato sulla coperta e su alcune carte del manoscritto. Dai campioni sono cresciuti pochi contaminanti microbici, che sono sono stati identificati tassonomicamente tramite tecniche di sequenziamento Sanger e Next Generation Sequencing.
Nell’ambito del progetto Codex 4D sono state condotte indagini chimiche con la tecnica della cromotografia liquida ad alte prestazioni HPLC e indagini di tipo microbiologico tramite Sequenziamento Sanger e Next Generation Sequencing.
Sono state inoltre condotte analisi termografiche e riflettografiche nel medio IR. (range spettrale 3-5 ⲙm) Si tratta di tecniche di diagnostica per immagini che consentono di visualizzare elementi strutturali e/o subsuperficiali sia delle legature, sia delle miniature.
Sulla miniatura della carta 13r sono inoltre state condotte analisi con di fluorescenza UV, iperspettrali, XRF e RAMAN che hanno permesso di identificare materiali e pigmenti e la loro collocazione stratigrafica. I risultati tali indagini sono inseriti nelle annotazioni contestualizzate sul modello virtuale esplorabile attraverso la sezione Codex4D.
Dai campioni su cui sono state condotte le analisi microbiologiche con sequenziamento Sanger, sono cresciuti un numero ridotto dei contaminanti. Si tratta di microrganismi dovuti alla manipolazione degli utenti o presenti nell’aria della Biblioteca, anche perché lo stato di conservazione del volume è eccellente.
Le analisi chimiche con HPLC hanno evidenziato uno stato di conservazione non ottimale del supporto cartaceo e tracce di colla di origine animale.
Le riflettografie nel medio IR sono state utilizzate prevalentemente per allineare le immagini RGB con le immagini termografiche al fine di ottenere la rappresentazione 3D nell’IR. La termografia è stata impiegata per lo studio di alcune miniature, rivelando informazioni utili sullo stato di adesione delle dorature (non si evidenziano distacchi subsuperficiali che si estendono a partire dalle piccole lacune visibili in corrispondenza di carta 13r, mentre si rilevano alcuni distacchi nella porzione superiore della miniatura di carta 10r. Entrambe le tecniche hanno mostrato con maggior contrasto alcuni elementi del disegno preparatorio. Le indagini termografiche eseguite sulla carta 10r hanno rivelato un piccolo pentimento che sembrerebbe consistere nella rappresentazione di una medusa, mai eseguita nel livello dello strato pittorico.
Le indagini in fluorescenza UV, iperspettrali, XRF e RAMAN, condotte sulle cc. 9v-10r e soprattutto 12v-13r, hanno consentito di identificare i materiali costitutivi e i loro comportamenti nelle diverse frequenze della luce, i pigmenti in particolare, e la loro collocazione.
I risultati puntali di tutte queste indagini sono inseriti nelle annotazioni contestualizzate sul modello virtuale esplorabile attraverso la sezione Codex 4D.
Per la vastissima bibliografia sul manoscritto si rimanda a: https://manus.iccu.sbn.it/risultati-ricerca-manoscritti/-/manus-search/cnmd/102297?
Si vedano inoltre almeno i più recenti: MADDALO, Il De Balneis Puteolanis di Pietro da Eboli. Realtà e simboli nella tradizione figurativa, Città del Vaticano 2003.
Pietro da Eboli, De Euboicis aquis. Edizione critica, traduzione e commento a cura di T. DE ANGELIS, Firenze 20018.